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newsletter n°23 del 21 novembre 2006


Settimana dal 21 al 27 novembre 2006  
 UNA DELEGAZIONE COLDIRETTI AL SALONE VINITALY-CIBUS 2006 DI SHANGHAI
L'agroalimentare Made in Italy raddoppia in Cina e con un aumento del 129% è il settore economico nazionale che fa registrare nel 2006 il più elevato tasso di crescita delle esportazioni nel paese asiatico con valori record per i vini (+117%), oli e grassi (+148%), formaggi e lattiero caseari (+1077%) e pasta (+49%). E' quanto emerge da uno studio della Coldiretti presentato a Shanghai dal presidente nazionale Paolo Bedoni in occasione dell'inaugurazione del Salone dell'agroalimentare italiano Vinitaly-Cibus 2006, al quale ha partecipato il Ministro per le Politiche Agricole Paolo De Castro, e di una serie di incontri avuti con esponenti economici e istituzionali cinesi.
Secondo le stime della Coldiretti a fine anno le esportazioni agroalimentari nazionali in Cina potrebbero raggiungere i 50 milioni di euro sulla base delle previsioni formulate in riferimento ai dati Istat sul commercio estero con i paesi extracomunitari nei primi sette mesi del 2006. "Nel rapporto del Comitato Leonardo-ICE sul volto dell'Italia nel 2010 l'agroalimentare insieme alla moda e al turismo viene considerato il settore che esprimerà maggiore imprenditorialità", ha affermato il presidente della Coldiretti nel sottolineare che "ciò che nei prossimi anni si venderà meglio sarà quello che i francesi chiamano il prodotto del terroir (quindi legato alla terra del luogo)".
Un bene che avrà un vasto pubblico in Italia e in Paesi come la Cina che - ha sottolineato Bedoni - rappresenta un terreno fertile per gli scambi commerciali poiché, come l'Italia, può vantare storia, cultura e tradizioni anche nell'agroalimentare dove le due cucine sono le più diffuse nel mondo. Per questo occorre trasparenza con l'obbligo di indicare in etichetta l'origine degli alimenti per combattere le contraffazioni e consentire ai consumatori di fare scelte consapevoli nel mercato globale.
La classifica dei prodotti alimentari Made in Italy maggiormente acquistati dai cinesi vede al primo posto i vini con una richiesta di quasi un milione di bottiglie al mese, seguiti dalle carni, dagli oli, dai formaggi e lattiero caseari e dalla pasta che nella "tigre d'oriente" rappresentano ancora prodotti status symbol per pochi fortunati che tuttavia sembrano destinati a crescere. Esistono, dunque, grandi potenzialità per l'agroalimentare italiano come dimostra il fatto che, nonostante il successo crescente, le esportazioni dei nostri vini raggiungeranno a fine anno un valore di 10 milioni di euro che rappresenta appena un quinto dei 50 milioni di euro (+60% rispetto al 2005) che prevedono di realizzare con i propri vini i cugini d'oltralpe che hanno investito anche in accordi di collaborazione con partner cinesi. Il mercato cinese può diventare un importante sbocco per il vino made in Italy poiché, anche se negli ultimi venti anni la produzione locale di vino è triplicata, non riesce ancora a soddisfare la crescita della domanda interna stimata intorno al 20-30 per cento annuo. 
 

 ITALIA-CINA: LE OPPORTUNITA’ E I RISCHI PER IL MADE IN ITALY
“Consumando dieci fettine a testa all’anno i cinesi farebbero esaurire completamente l’intera produzione annuale di prosciutti di Parma e di San Daniele, pari a circa 12 milioni di pezzi. E’ quanto ha stimato la Coldiretti in riferimento al via libera, annunciato dal ministro delle Politiche agricole Paolo De Castro, all'export in Cina per i prosciutti made in Italy dopo anni di difficoltà. 
“Al superamento degli ostacoli amministrativi – ha rilevato a Shanghai il presidente della Coldiretti Paolo Bedoni - deve fare seguito lo sviluppo di relazioni commerciali che consentano ai nostri prodotti di raggiungere il numero crescente di consumatori cinesi che risiedono nelle grandi città e che hanno le disponibilità economiche sufficienti ad acquistare prodotti italiani di qualità”.
Fare leva sui peccati di gola e sulle tentazioni della moda è il miglior modo per conquistare il grande mercato della Cina poiché al 39% dei cinesi l'Italia fa venire in mente i capi d'abbigliamento, seguiti da cibo e vini tipici (31%), dal calcio (31%) e dai luoghi più belli del nostro Paese (19%), secondo una ricerca Leonardo-ICE-Piepoli. Ma i due settori del Made in Italy più apprezzati sono anche quelli più soggetti al rischio di una concorrenza “sleale” fondata su prodotti di imitazione a basso costo e per questo serve un impegno per l’etichettatura di origine di alimenti, scarpe e tessile, la difesa dalle falsificazione e il riconoscimento dei prodotti a denominazioni di origine nel Wto per garantire un commercio trasparente e impedire inaccettabili casi di contraffazione.
Nel corso dell'inaugurazione del Salone agroalimentare Vinitaly-Cibus 2006, il presidente Paolo Bedoni ha mostrato alcuni cibi taroccati scoperti dalla Coldiretti nei supermercati di Shanghai: provolone e mozzarella prodotti negli Stati Uniti, ma anche conserve di pomodoro "La contadina nello stile di Roma" ottenuta da pomodoro fatto crescere al sole della California (Usa). Prodotti che tolgono spazio a quelli autentici nazionali con il rischio concreto che si radichi nella popolazione un falso che nulla ha a che fare con il Made in Italy alimentare.
Esiste - ha sottolineato Bedoni - il rischio concreto che sul crescente mercato cinese arrivino prima i falsi internazionali dei prodotti originali made in Italy con un grave inganno per i consumatori e danni per le imprese nazionali. Si tratta infatti di prodotti che non hanno le stesse caratteristiche qualitative, ma che sfruttano l'immagine positiva dell'Italia per essere venduti a prezzi elevati per il reddito medio dei cinesi: un euro e mezzo per 250 grammi di conserva di pomodoro californiana e ben 8 euro per 220 grammi di provolone cheese.
Occorre fare presto - ha concluso Bedoni - per recuperare il ritardo accumulato sfruttando i buoni risultati degli accordi bilaterali che hanno evidenziato una crescente sensibilità delle autorità cinesi per la tutela della proprietà intellettuale negli alimenti e nella lotta alle contraffazioni. Ma sopratutto bisogna lavorare sulla valorizzazione dell'identità territoriale degli alimenti con l'informazione e l'obbligo di indicare in etichetta l'origine di tutti gli alimenti.
  

 ITALIA-CINA: RADDOPPIA IL CONSUMO DI FRUTTA E SCONVOLGE I MERCATI 
“L’impetuosa crescita economica della Cina ha provocato un vero boom nella domanda interna di frutta, con quasi il raddoppio del consumo degli abitanti negli ultimi dieci anni, che ha sconvolto i mercati internazionali dove l’Italia è leader europeo nella produzione. Con spazi di aumento nei consumi di frutta a due cifre percentuali l’anno - ha sottolineato il presidente della Coldiretti Paolo Bedoni a Shangai per l’inaugurazione del Salone dell’agroalimentare italiano Vinitaly-Cibus 2006 - la Cina si sta trasformando da paese esportatore a paese importatore, con l’Italia che deve svolgere un ruolo da protagonista anche per affrontare la stagnazione degli acquisti nazionali”.
Negli ultimi dieci anni  il consumo procapite di frutta in Cina è passato dai 40 ai 70 chili in media per persona e tende, con lo sviluppo, ad avvicinarsi rapidamente ai livelli europei dove il valore per l’Italia è di 132 chili a testa. Un aumento del consumo di solo un chilo e mezzo a testa sarebbe sufficiente ad esaurire l’intera produzione di mele dell’Italia.
Le mele sono il frutto preferito dai cinesi con oltre un quarto della produzione di frutta locale e si prevede che i loro consumi complessivi raggiungeranno a breve le 25 milioni di tonnellate, pari a dodici volte il raccolto made in italy. Esiste tuttavia una rilevante forbice nei consumi di frutta tra la popolazione cinese in funzione del reddito con valori di quasi 80 chili a testa  per le classi più benestanti rispetto agli appena 32 chili per i più poveri, secondo i dati Robobank.
Per il futuro si aprono dunque importanti prospettive per le esportazioni italiane ed europee con la crescita economica del gigante asiatico, anche se rimane pesante il pressing esercitato dalle produzioni cinesi sul mercato europeo dove negli ultimi dieci anni la Cina ha aumentato le esportazioni di mele del 954% per un totale di quasi 50mila tonnellate nel 2005.
“Attualmente l’esportazione italiana di mele in Cina è pari a zero e il superamento con protocolli bilaterali degli ostacoli di carattere burocratico ed amministrativo, che hanno sino ad ora impedito le spedizioni, deve essere accompagnato dalla creazione di solidi rapporti commerciali”, ha affermato Bedoni nel sottolineare che “si tratta di una esigenza che riguarda anche altri tipi di frutta come i kiwi ed alimenti diversi quali prosciutti, salumi e formaggi”.
Gli incontri avuti con i rappresentanti delle catene distributive e delle Istituzioni cinesi ci consentono di lavorare su un mercato immenso dove, nonostante un reddito medio di appena 1500 dollari statunitensi all’anno, esistono - ha sostenuto il presidente della Coldiretti - ampi segmenti della popolazione con potere di acquisto crescente che si concentrano nelle 36 grandi città della Cina che ospitano 90 milioni di cittadini serviti anche da moderne catene commerciali.
La coltivazione di mele, che rappresenta il 27% della produzione cinese di frutta, copre una superficie di 1,9 milioni di ettari per una produzione di 24 milioni di tonnellate, pari al 38% di quella mondiale, della quale attualmente  quasi un milione è destinata alle esportazioni. 
 

 EXPORT ITALIANO: RUSSIA AL 4° POSTO TRA I PAESI EXTRA UE PER L’AGROALIMENTARE 
E’ boom per l’Italia a tavola in Russia dove le esportazioni agroalimentari fanno segnare una crescita record del 9,3 per cento con l’ex impero sovietico che sale al quarto posto tra paesi extracomunitari che hanno maggiormente apprezzato il cibo e le bevande Made in Italy nel mondo. E’ quanto è emerso da uno studio della Coldiretti presentato a Mosca dal presidente nazionale Paolo Bedoni, in occasione del Mebel 2006, in cui la partecipazione italiana è organizzata da Veronafiere, e dove ha incontrato l’Ambasciatore italiano a Mosca Vittorio Claudio Surdo, il sottosegretario al Commercio internazionale Milos Budin, il presidente dell’Ice Umberto Vattani, insieme a esponenti del mondo economico italiano e russo.
Secondo le previsioni della principale organizzazione agricola europea a fine anno le esportazioni agroalimentari nazionali in Russia potrebbero superare per la prima volta i 300 milioni di Euro anche per effetto dei nuovi ricchi che domandano in misura crescente made in Italy nella moda, nell’arredo, nei mobili ed anche nel cibo con gli spumanti italiani che registrano un entusiasmante +23 per cento nel valore nelle esportazioni. Prodotti status symbol per fortunati che tuttavia sembrano destinati a crescere e a consolidarsi nelle abitudini di vita con un aumento della presenza di alimenti italiani come pasta (+17,7 per cento), formaggi (+54,6 per cento) soprattutto parmigiano e grana padano e olio di oliva (+60 per cento), nei primi sette mesi del 2006 secondo i dati Istat.
La classifica dei prodotti alimentari Made in Italy maggiormente acquistati dai russi vede al primo posto i vini seguiti dalle carni, dall’uva da tavola, dal caffè e dalla pasta. Il trend positivo del commercio italiano in Russia non riguarda in realtà solo l’agroalimentare, con le esportazioni complessive che nei primi nove mesi del 2006 sono aumentate di ben il 21,4 per cento in valore facendo registrare una delle migliori performance tra tutti i paesi extracomunitari.