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newsletter n° 16 del 27 giugno 2006


Settimana dal 27 giugno al 3 luglio 2006  
 ASSEMBLEA NAZIONALE: STRALCI DALLA RELAZIONE DEL PRESIDENTE BEDONI
Pubblichiamo alcuni stralci della relazione del presidente della Coldiretti Paolo Bedoni all’Assemblea nazionale di mercoledì 28 giugno 2006.

Dpef, banco di prova per il Governo
Il primo segnale chiaro di quale sarà l’orientamento di questo Governo sulla politica economica lo avremo con il Dpef e, in occasione della preparazione di questo documento, capiremo se ci si prospetta davvero un salto di qualità nella politica di concertazione. Non voglio parlare né di avvisaglie, né di indiscrezioni.
Dobbiamo stare ai fatti: siamo all’immediata vigilia di un passaggio che ci aiuterà a capire se con il nuovo Governo la concertazione avrà o no il respiro che auspichiamo e che ci attendiamo. Capiremo se esso tenderà a relegare la politica agricola in un ambito settoriale o se invece, puntando sulle connessioni di filiera, mostrerà di voler investire sul comparto agroalimentare come propulsore e propellente di una politica di sviluppo che abbia il respiro del medio e del lungo termine. Questo lo capiremo molto presto e molto presto capiremo in che modo noi dovremo portare avanti la nostra iniziativa nel nuovo quadro politico.
Voglio essere chiaro. Noi apriamo una seria linea di credito verso il Governo presieduto da Romano Prodi. Per ragioni storiche obiettive. Perché con il suo primo Governo è decollata, sulla base di un confronto che fu inizialmente franco e duro, la scelta di dare spazi e respiro istituzionale alla politica agricola (poi implementata con l’istituzionalizzazione del “tavolo agroalimentare”). E successivamente perché lo abbiamo trovato, come Presidente della Commissione Europea, accanto a noi lungo tutto il percorso che ha portato alla fondamentale e coraggiosa riforma Fischler.
Per obiettività di giudizio non dimenticherò qui di dare atto al precedente Governo e al ministro Alemanno di essere stati con noi interlocutori attenti e positivi nell’alimentare, con continuità e con significativi dati di fatto, la concertazione al tavolo agroalimentare.
Crediamo dunque di poter dire in tutta franchezza che, in questa fase nuova, abbiamo il privilegio di poter dare ulteriore sviluppo a una politica riformatrice il cui “Dna” ha passato, a pieni voti e a più riprese, la verifica bipartisan. E che spetti ora al presidente Prodi e al ministro Paolo De Castro non sottovalutare il prezioso capitale che abbiamo faticosamente accumulato nell’arco di un decennio, e sul quale intendiamo fermamente investire per una nuova e più ambiziosa stagione di cambiamenti e di riforme.
Noi ci attendiamo - ha affermato Bedoni - che il Dpef raccolga gli stimoli che vengono da un comparto che gli economisti più attenti considerano un formidabile punto di forza per la competitività del Sistema-Italia sia in Europa che sul mercato globale e che ne assecondi le potenzialità, la crescita e lo sviluppo attraverso una serie di misure strutturali che noi abbiamo già indicato nel nostro “piano di attuazione delle politiche di rigenerazioni”, riassumendole in quattro punti:
1) misure di attuazione della politica agricola nazionale e della politica agricola europea (Pac) per mettere l’impresa agricola in condizione di cogliere tutte le opportunità che i provvedimenti sui due versanti le aprono e per combattere le situazioni di rendita;
2) pacchetto di misure di carattere strutturale tese ad affrontare le situazioni di crisi di mercato determinate da strozzature nel processo di filiera che bruciano valore, tolgono potere contrattuale al prodotto agricolo italiano e determinano una situazione di squilibrio nella struttura dei costi e di scandalosa disparità nel processo di formazione dei prezzi;
3) misure di politica economica tese a incidere sulla struttura dei costi d’impresa. Esse, da un lato, debbono togliere all’impresa agricola gli svantaggi competitivi determinati dalle arretratezze di natura infrastrutturale, logistica, dei trasporti e dalle rigidità della politica energetica; e, dall’altro lato, debbono rendere disponibili all’impresa servizi creditizi, finanziari e assicurativi di maggiore efficienza e accessibilità;
4) progetti di distretti a prevalente o parziale vocazione agroalimentare relativamente a modelli di sviluppo locale che possono essere assimilati al concetto economico/giuridico di “distretto”.

Difendere la leadership qualitativa del Made in Italy in Europa
Crediamo che si stiano creando le condizioni per un miglioramento netto di clima nei rapporti di filiera e per la realizzazione di seri accordi tra agricoltura, industria e distribuzione tesi a valorizzare il Made in italy in tutti i suoi aspetti qualificanti. Si è soprattutto creato un clima favorevole sul tema dell’indicazione e della valorizzazione dell’origine in etichetta, vista anche dall’industria non più come un limite alle politiche di marca, ma come un’occasione davvero rilevante per una loro ulteriore qualificazione.
Un risultato che è anche il frutto dell’aria nuova che, sotto la spinta della Coldiretti, si comincia a respirare in Europa dove il Copa/Cogeca, che riunisce 15 milioni di lavoratori in agricoltura, ha approvato quasi all’unanimità un documento nel quale si chiede che “nella futura legislazione comunitaria in materia di etichettatura degli alimenti occorre prevedere soprattutto per i trasformati un’indicazione obbligatoria dell’origine dei prodotti agricoli impiegati intesa come luogo in cui il prodotto è stato coltivato o in cui l’animale è stato allevato”.
Ci attendiamo che l’attuale Governo, come il precedente, sappia cogliere le opportunità e i segnali di modernità che si aprono per il Made in Italy con la nuova cultura della sicurezza alimentare e si faccia promotore e sostenitore nell’Unione Europea delle scelte di avanguardia fatte dalla legislazione nazionale sull’obbligo di indicare l’origine degli alimenti in etichetta, a partire dai provvedimenti relativi al pollame e alla passata di pomodoro su cui è stata aperta incomprensibilmente una procedura d’infrazione comunitaria.

La concertazione non è mediazione di conflitti con l’industria
Noi aggiungiamo alla parola “concertazione” l’aggettivo “progettuale”, anche e soprattutto per marcare le distanze da una forma di concertazione che si è venuta imponendo, nel tempo e che si esprime di solito nella mediazione governativa del conflitto all’interno del sistema delle relazioni industriali. Nessuno nega che la definizione di punti di equilibrio salariale e normativo nella contrattazione sindacale rappresenti un prezioso contributo alla gestione del conflitto sociale, e quindi una base importante soprattutto per scelte di politica industriale. Ma è un limite e un errore gravissimo quello di far ruotare intorno a questa mediazione  l’intero impianto della politica economica.
In passato questa visione parziale e limitata della concertazione ha comportato gravi errori di politica economica di cui, ancora oggi, il Sistema-Italia sopporta le gravi conseguenze in termini di perdita di competitività. Non solo la concertazione deve essere dunque impostata a tutto campo, ma deve fondarsi su un chiaro impianto progettuale alla cui costruzione le forze sociali debbono essere chiamate a dare il loro contributo. Anche per misurare la coerenza delle loro scelte.
Ovviamente nessuna confusione deve esservi tra il ruolo delle forze sociali e quello dell’autorità politica: quanto più trasparente e approfondito sarà il metodo della concertazione tanto più evidente sarà la distinzione dei ruoli e delle responsabilità. La decisione finale spetterà sempre e comunque all’autorità di governo e intatto resterà, in caso di dissenso, il diritto al conflitto sociale da parte delle forze sociali nelle forme e nei modi che riterranno necessari per mobilitare la propria base e far valere la propria capacità contrattuale.
Una concertazione che abbia un respiro così ampio aiuterà tutti a crescere e costituirà un formidabile incentivo a contenere e combattere le spinte e i ricatti corporativi. Il grande nemico della concertazione è il collateralismo e con esso tutto il vasto campionario di scambio politico, elettorale e clientelare che questa forma di dipendenza delle forze sociali dai partiti e dagli schieramenti politici rende possibile e necessario. Il collateralismo è un grande ombrello al riparo del quale le forze sociali tendono a dare il peggio di sé e comunque si sottraggono al salutare esercizio di mettere in relazione le proprie impostazioni e rivendicazioni con gli interessi generali.

Valorizzare in sede Wto la riforma della Pac e combattere falsificazioni e imitazioni
Per quanto riguarda il negoziato Wto si è visto come sia stato importante arrivare a questa nuova e forse decisiva fase potendo contare sulla credibilità di un impianto di politica agricola europea che può essere agevolmente difeso dalle autorità europee in sede negoziale, sia nel confronto con gli Stati Uniti che con quello dei Paesi in via di Sviluppo come India e Brasile. 
E’ quindi fondamentale un impegno della Commissione Europea a difesa dalle contraffazioni e dall’agropirateria che colpiscono vini e cibi a denominazione di origine. Una necessità per rilanciare le esportazioni nazionali sul mercato globale dove si stima che sia falso un piatto italiano su tre e il fatturato dei prodotti Made in Italy taroccati raggiunge gli oltre 50 miliardi di Euro.
La tutela delle denominazioni è importante per garantire la trasparenza degli scambi e una concorrenza leale tra Paesi e il raggiungimento di un accordo su questo tema rientra tra gli interessi nazionali prioritari nel negoziato perchè per l'Italia significherebbe la possibilità di recuperare spazi di mercato con lo stop alla "pirateria agroalimentare" che nel mondo continua a utilizzare impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che richiamano al nostro Paese per alimenti che non hanno nulla a che fare con la realtà produttiva nazionale.
Contro i pirati del cibo che falsificano l'identità territoriale degli alimenti sul mercato globale ostacolando il commercio leale, l'Unione Europea deve ricercare un'alleanza anche con i paesi in via di sviluppo (PVS) per spingere il Consiglio del Wto a prendere misure appropriate entro il 31 luglio 2006, come previsto dalla VI Conferenza Ministeriale che si è chiusa a Hong Kong. Entro questa data il Consiglio del Wto deve infatti esprimersi sulla possibilità di estendere la protezione delle indicazioni geografiche oltre che ai vini e agli alcolici anche ad altri prodotti, come formaggi e salumi, ma anche caffè, cacao o altro. 

Dopo il referendum la questione istituzionale resta aperta
L’auspicio è che ora il sistema politico garantisca un periodo di stabilità e di governabilità e che valorizzi finalmente un bisogno fondamentale: quello del rispetto delle regole del gioco che si fonda sul principio della reciproca legittimazione tra gli schieramenti alternativi.
Il voto referendario, al di là del suo esito certamente incontrovertibile, deve chiudere davvero la stagione delle infrazioni di questo principio. Da questo momento vi deve essere, da parte di tutti, l’impegno a considerare le leggi fondamentali dello Stato, e in particolare quelle che incidono sull’assetto costituzionale, un terreno in cui è doverosa, se non proprio obbligatoria, la ricerca di un consenso ampio, che potremmo definire di “maggioranza qualificata”.
La nostra opinione è che il dibattito sui temi della riforma istituzionale doveva essere messo al riparo dalle schematicità imposte da un conflitto politico fortemente radicalizzato. Sapevamo che, qualunque fosse stato l’esito del voto referendario, la questione istituzionale sarebbe rimasta aperta e una nuova fase di confronto e di elaborazione sarebbe stata necessaria, con il concorso di entrambi gli schieramenti.
Noi, come forza sociale (e come altre forze sociali) ci siamo tenuti fuori dalla parzialità e dalla radicalità di una contrapposizione di cui abbiamo visto le insidie e i pericoli. Questo non significa che intendiamo rinunciare al diritto-dovere di far sentire la nostra voce su questioni e temi che sono di nostro grande e diretto interesse in quanto cittadini e in quanto organizzazione di rappresentanza d’impresa.
La mortificante e obbligata schematicità di un referendum su temi così complessi ci ha imposto una sorta di “presa di distanza” da questa contrapposizione: una presa di distanza che è fondamentalmente un atto di autotutela della nostra autonomia in quanto organizzazione, ma che in nessun modo può essere scambiata per estraneità rispetto ai grandi temi della riforma istituzionale. Da questo punto di vista, anzi, dobbiamo tornare a esprimere un disagio che abbiamo più volte manifestato e che nasce dal fatto che nei dibattiti sulle varie proposte di riforma o ammodernamento istituzionale continua a non trovare posto il tema del ruolo delle forze sociali e del modo attraverso il quale la loro rappresentatività incide sui processi di governabilità di una società come la nostra.
Continua cioè a mancare il tema della concertazione che in tanti, in troppi, continuano a scambiare come un’opzione politica, ma che in realtà è uno dei capisaldi fondamentali della governabilità in una economia complessa